Il libro “Immagina Riesi” è la storia di un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca delle mie compagne e dei miei compagni delle elementari, insieme le abbiamo frequentate presso il Servizio Cristiano, un istituto della Chiesa Valdese dal 1968 al 1973, a Riesi in Sicilia. Ed è il frutto di una collaborazione con i due coautori, Daniele Arghittu e Salvatore Falzone, i due giornalisti che hanno curato le interviste e scritto i testi.
Questo progetto nasce anche dalla necessità di trovare risposte, conservate nelle memorie dei “testimoni di tempo”, alle mie domande. Queste persone, che in quegli anni si impegnarono a Riesi, a volte stavano in fronti opposti, a volte erano compagni inusuali di un viaggio finalizzato alla realizzazione di un’utopia sociale, nella profonda provincia siciliana.
La scuola e gli edifici circostanti portano la firma dell’architetto Leonardo Ricci, amico del fondatore del centro, il pastore Tullio Vinay. Costruito sul pendio di un uliveto secolare, il Villaggio Monte degli Ulivi sintetizza la luce, le pietre, e gli olivi in un unicum che è stata espressione della via italiana all’architettura organica. Nel 2006 il Villaggio è stato dichiarato “d’importante interesse artistico“ dalla Regione Siciliana.
Ma la particolarità della nostra scuola non era soltanto di carattere architettonico, anche se questi edifici “educavano”. Oltre alle normali materie come italiano, aritmetica, geografia e storia, a scuola studiavamo l‘inglese, cantavamo in coro, facevamo il giornalino di classe, e ci occupavamo dei criceti. La biblioteca era sempre a nostra disposizione e tutti dovevamo leggere un libro e raccontarlo ad alta voce. In quella scuola a tempo pieno si applicavano i più moderni metodi educativi ispirati ai valori di uguaglianza, rispetto e tolleranza: e pertanto l’unica materia che mancava era… la religione.
Le mie compagne ed i miei compagni di classe, – con alcuni siamo rimasti in amicizia – abitano oggi in Sicilia, nel Nord Italia, in Germania e in Belgio: come tutti noi, anche loro sono il prodotto di una mentalità, di un’ educazione e di una cultura; ma sono persone dotate di una propria volontà e che hanno costruito il proprio destino.
Per capire meglio le nostre biografie e spiegare che paese fosse Riesi negli anni ‘60 e ’70 ho coinvolto dei testimoni del tempo, alcuni di loro sono stati dei protagonisti di rilievo di quegli anni, per fargli raccontare le vicende che allora avvennero e spiegarne le cause. Attraverso i loro ricordi emerge le peculiarità di questo piccolo centro siciliano. Dopo la chiusura della solfatara, e in ragione di elementi strutturali come l’agricoltura povera e arretrata, la corruzione, i disservizi, e non ultima la mafia, la maggior parte degli abitanti aveva una sola prospettiva: emigrare!
Ma c’era anche chi viaggiava in senso opposto, come i Protestanti che arrivavano dal Nord Italia, dall’Europa, e dal mondo intero per dare una mano e invertire il corso degli avvenimenti. Loro vivevano al Servizio Cristiano, una comunità cosmopolita che ha condiviso i valori del lavoro, dell‘ impegno e della fede.
Oltre alla scuola elementare, c’era quella materna, un istituto professionale per la formazione di meccanici specializzati, e un centro agricolo per l’approvvigionamento alimentare di tutte le strutture; in paese si trovavano invece il consultorio familiare, -uno dei primi in Italia- un ambulatorio pediatrico, e un cineforum che al sabato proiettava film in una sala attigua alla piazza principale, e che fungeva anche da centro dibattiti, aperto a tutti.
Anche a chi “viaggiava in senso opposto“, a chi veniva da altre culture, da altre mentalità e da altre condizioni di vita, ho chiesto di raccontare cosa fosse Riesi per loro. Il senso di questo lavoro è che, oltre all’incontro con un caro ricordo, che ho sempre serbato per i miei compagni, si affianca il racconto di un’epoca così particolare per questa cittadina e per chi ci abitava. E che effetti ha prodotto la piccola minoranza evangelica nell’incontro, e nello scontro, con una realtá completamente diversa?
Uno dei risultati che entrambe le parti possono vantare è la cantina sociale. La sua realizzazione ha coinvolto tutti coloro che ne avevano intuito le potenzialità, in termini di benefici per i viticoltori costretti a vendere le loro uve sottocosto: cattolici e valdesi, comunisti e democristiani, minatori e contadini, ricchi e poveri, tutti si sono impegnati con entusiasmo, perseveranza e onestà per dare vita a una realtà ancora oggi tra le più importanti del territorio nisseno.
La Fotografia
Tutte le immagini di questo progetto sono state impressionate su rullini di medio formato (6×6 cm). Ho lavorato con una Hasselblad 500C del 1967 e non è stato un caso, con quella stessa macchina avrebbero potuto fotografarci, bambini, negli anni delle elementari. Usando la stessa tecnica fotografica di allora ho ricreato quella dimensione del tempo e del ricordo che i primi scatti di prova con macchine moderne non mi hanno dato. La tecnica fotografica odierna rasenta la perfezione: obiettivi ad altissima risoluzione combinati con software sempre più performanti riescono a rendere visibile il dettaglio più fine. In quelle fotografie le mie compagne e i miei compagni di scuola sarebbero stati esattamente gli stessi di oggi; ma io li volevo vedere (e continuare a immaginare) diversamente, soffusi nel tempo del ricordo.
Questa scelta è stata fondamentale per annullare la dimensione temporale e permettermi quel viaggio nel tempo che intendevo fare, con le donne e gli uomini di oggi, per arrivare agli scolari del mio ricordo.